L’accoglienza, quella vera, non ha fretta
- Giano di Vico
- 14 apr
- Tempo di lettura: 1 min
Aggiornamento: 7 giorni fa
Viterbo non ti accoglie.
O almeno non subito.
E chi dice il contrario non ha mai provato a chiedere un caffè a San Pellegrino dopo le undici e mezza.
Ma è proprio qui il punto.
Questa città non è fatta per chi cerca il sorriso automatico, l’abbraccio promozionale o il “dove possiamo accompagnarla, signore?”.
Viterbo è un luogo che non ti rincorre. E proprio per questo ti rimane addosso.
I turisti, quelli veri, si dividono in due categorie:
1. Quelli che arrivano, non capiscono, e vanno via.
2. Quelli che arrivano, non capiscono… e restano.
Restano perché sentono che c’è un altro ritmo sotto, più profondo.
Una musica bassa, come un organo in lontananza.
Un tempo paziente, che non ti chiede di correre, ma ti invita a fermarti — se ne sei capace.
Qui la diffidenza non è chiusura: è filtro.
È come se la città volesse sapere prima chi sei.
Non ti dà tutto subito, perché non è interessata a piacerti.
E proprio per questo… finisce per piacerti moltissimo.
I viterbesi sembrano ruvidi?
Forse sì. Ma hanno un codice d’onore.
Quando ti accolgono davvero, non te lo dicono.
Te lo dimostrano in silenzio, come chi ti lascia la porta aperta senza avvisarti.
Questo blog nasce da qui:
dal tentativo di raccontare una bellezza che non ha fretta di mostrarsi.
Di trasformare i presunti difetti di una città in esperienze autentiche, riservate a chi ha occhi per vedere oltre le mura.
Perché, diciamocelo:
l’accoglienza da cartolina è sopravvalutata.
Quella vera? Ha bisogno di tempo. E Viterbo ne ha in abbondanza.
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